venerdì 21 novembre 2014

I miei Sette Arcidiavoli

Per chi non lo sapesse, mi diletto di Giochi di Ruolo, dal fantasy all'horror e quando mi cimento nella creazione di ambientazione, personaggi o avventure spesso la commistione tra horror e fantasy diviene palpabile. Scrivendo una mini campagna per giocare con degli amici ho voluto immaginare la struttura dell'inferno della mia ambientazione. Prendendo spunto da concetti già esistenti tanto in alcune culture religiose quanto nella letteratura o in altri giochi di ruolo ho voluto immaginare una struttura eptagonale dove i sette regni sono rappresentati dai sette peccati capitali. A capo di ognuno di questi regni diabolici ho voluto mettere un "Arcidiavolo" che rapresentasse agli occhi umani l'esasperazione del peccato di riferimento.
Preciso che so benissimo che i nomi che ho utilizzato corrispondono nella cultura esoterica/religiosa a concetti e descrizione ben diversi, quindi evitatemi i pipponi di precisazione su a cosa "in realtà" un nome dovrebbe o non dovrebbe essere associato.

Qui di seguito mi limito a elencarvi la descrizione meramente fisica che tali Arcidiavoli avrebbero agli occhi deli esseri umani dell'avventura di mia ideazione.
Parte del mio sogno sarebbe quello di trovare illustratori aventi voglia di dare forma grafica a queste descrizioni.

IRA - Abaddon
Un colosso gigantesco e ipermuscoloso, i muscoli ipertrofici sono avvolti da una rete di vene violacee a fior di pelle. Il e collo taurino e le proporzioni accentuano la postura tozza e solida completamente glabra dalla pelle grigia. E' privo di occhi poiché all'interno delle cavità oculari non vi è buco bensì una membrana carnosa. Le grosse dita sono dotate di lunghi artigli neri e lunghi quanto ogni dito stesso, e la sua schiena presenta delle file parallele di aculei neri che si innestano ai lati della colonna vertebrale. I denti, neri anch'essi sono tutti aguzzi e da orecchie, narici e bocca cola lava incandescente che scorrendogli sul corpo, cade infine al suolo lasciando i segni dstruttivi del suo passaggio. La creatura si muove protesa in avanti come prontaper scattare in un impeto furioso e quando ferma è visibile il ritmico gonfiarsi e sgonfiarsi del torace in preda ad una respirazione isterica.

ACCIDIA - Beelzebub
Uno storpio dalla pelle di un insano pallore cadaverico che attorno labbra narici e occhi prende invece una colorazione livida. Le sclere degli occhi sono giallognole e coperte da cataratte. Da orecchie e narici fuoriescono peli incrostati. Sulla testa poche ciocche unte di capelli appiccicaticci sono circondate da una vistose squamature di pelle morta. La pelle lercia e appiccicosa ha numerose icrostature di miasmi imprecisati ed è piena di brufoli infetti, alcuni dei quali appena esplosi e gocciolanti rivoli di pus giallognolo. Dalla bocca sporgono gli storti denti marroni/giallastri marci e infestati dalle carie. Il corpo scoliotico è ricurvo su se stesso ed ingobito, le spalle come le braccia o il petto e le natiche sono ricoperti chiazze irregolari di peluria unticcia e irta. A partire dal centro delle natiche e lungo le cosce sono ben visibili lunghe chiazze e rivoli incrostati di escrementi, mentre davanti un piccolo pene violaceo è circondato da un folto cespuglio di peli pubici incostati di fluidi organici sessuali infestato dai parassiti.

SUPERBIA - Asmodeus
Un adone, perfetto, la pelle liscissima è color rosa chiaro con riflessi madreperla, il viso ha tratti così belli e armonici da giungere ad un'aspetto indistinguibilmente androgino. Il corpo tuttavia è maschile e perfetto in linea con i tipici canoni di una statua greca. I lunghi capelli sono biondi appena ondulati e cascano sulle spalle, gli occhi celesti ed affusolati sono contornati da lunghe ciglia arcuate. Sulla fronte vicino l'attaccatura dei capelli sono visibili due corna ricurve color avorio minuziosamente intarsiate. Sul capo svetta una corona d'oro tempestata di pietre preziose. Così come alle orecchie lunghi pendenti d'oro, e collane al collo e anelli alle dita.
Regge uno scettro d'oro con il puntale triforcuto. L'intera figura irradia un tenue bagliore spontaneo di luce propria dorata.

GOLA - Behemooth
Una masa di carne abnorme stesa su una lettiga portata a spalla da un'imprecisato numero di magrissimi schiavi emaciati sotto di essa. I mastodontici rotoli di grasso ricoperti di vistose e profonde smagliature sono ammassati l'uno sull'altro e rendono difficile una precisa identificazione della posizione degli arti e dell'anatomia corporea. La sua enorme pancia deforme è solcata da lato a lato da un'altra enorme bocca raccapricciante. La creatura dall'espressione assente, periodicamente allunga una mano verso il bordo della lettiga e afferrato uno degli schiavi dalla testa inizia a mangiarlo in un sol boccone se portato alla bocca addominale o a morsi se alla bocca "canonica". Entrambe le bocche in costate masticazione sono sempre sbrodolate di resti umani e sangue viscoso e producono costantemente un grottescorumore di ossa rotte.

INVIDIA - Astaroth
La struttura e le proporzioni delle parti corporee sono ricodnducibili a quella di un bambino di circa sette anni, la figura è si corporatura longilinea, esile e dalla struttura particolarmente fragile. L'intera pelle innaturalmente liscia e lucida somiglia a gomma di tonalità chiara che va dall'alabastro al beije. Quelli che sembrano capelli sono in realtà bargigli carnosi che dal cranio scendono lunghi fino alle anche. Il viso presenta occhi molto sottili, con sclere nere e iridi dal colore ambrato e pupilla lineare, non è presente un naso ma due narici verticali e affuslate. La bocca increspata in un perenne ghigno supponente è irta di piccoli denti sottilissimi ed aguzzi da cui fuoriesce costantemente la lunga lingua biforcuta. Al termine delle esili braccia le mani preentano dita esageratamente lunghe e nodose aventi un pollice e soli tre dita. Infine dal coccige una lunga coda con in cima un sonaglio simile a quello di un crotalo è in perenne movimento.

AVARIZIA - Belial
Un individuo magrissimo, malnutrito e in  avanzatissimo stato di vecchiaia, la pelle così sottile secca e incartapecorita sembra un involucro sottovuoto che ne contiene a stento le fragili ossa. Sulla testa solo una coroncina di capelli grigi ricoprono la nuca, il volto spigoloso dagli zigomi sporgenti e naso aquilino presenta cavità oculari insanamente profonde e bulbi oculari in oro splendente privi di iride o pupilla. Le guance scavate enfatizzano la spigolosa mandibola e dalla bocca increspata in un'espressione di disgusto e biasimo si intravede una perfetta dentatura anch'essa in oro splendente. Le spalle cadute gli danno una postura incerta, instabile e alla cima delle braccia si notatno le ossute mani contorte da gravissime artrosi, le magrissime gambe sono storte verso l'interno al'altezza delle ginocchia e i piedi callosi sono deformati dall'avanzato stato dei valgismo degli alluci.

LUSSURIA - Lilith
Un corpo femminile dalle curve sinuose e dalle proporzioni esageratamente marcate. La pelle di un rosato chiaro è liscia e ben levigata. Lunghi e folti boccoli rossi scendono lungo la schiena e due grandi occhi verdi e brillanti portano l'attenzione di chi osserva sul visino incantevole a cui il nasino alla francese lievemente all'insù da un'aria sofisticata in netta contrapposizione con l'accenno di innocenti efelidi sulle gote rosee. Le labbra carnose sono appena protese verso l'esterno in un broncetto che valorizza la loro lucidità naturale. Il seno prosperoso e alto presenta areole molto chiare e capezzoli increspati e turgidi visibilmente sporgenti. Il ventre piatto e fa da cornice all'ombelico da cui, fuorisece un fascio di luce celestiale contenuta dentro quell'involucro corporeo. La vita strettissima accentua l'allargarsi dei fianchi che danno spazio a natiche ampie marmoree e alte. I peli pubici, vellutati e rossi come i capelli incoronano un organo genitale ermafrodito che ella non smette di masturbare in ogni modo anatomicamente possibile: una vulva ben più grande del normale, dove al posto del clitoride svetta verso l'alto un pene eretto e pulsante, al di sotto del quale i due testicoli sono contenuti dentro duelle grandi labbra scrotali grandi, gonfie e dilatate da cui sporgono vistosamente delle piccole labbra increspate e cartilaginee. Gli umori prodotti dalla costante masturbazione colano costantemente e copiosamente lungo l'interno delle cosce fino ai piedi.

mercoledì 23 luglio 2014

Orrorifica Gioventude

Lo sommo sdegno e 'l grande stupore,
oh tu donzella che sei in gioventude,
causi ci priva d'alcuno pudore,
quando lo alto bel cul tuo ti prude.
Mai noi vorremmo vederti in quell'ore
quando sei intenta a grattar la virtude,
possa aver tu prodigiosa pomata,
che da orrorifica muti te in fata.


-Turi Messina

Questa mattina per puro caso, in un gruppo whatsapp con amici abbiamo scambiato i consueti saluti del buongiorno usando un registro aulico. Recandomi in ufficio con la moto ho poi visto una ragazza dal fisico molto gradevole grattarsi il culo come il più rude dei marinai.
Questo mi ha ispirato e questo è il risultato.

giovedì 17 luglio 2014

La presunzione dell'indifferenza.

È da parecchio tempo che non scrivo sul blog.
Non perché non ne abbia avuto il tempo, solo che non ho avuto nulla di rilevante da dire.

Non avere nulla da dire è una condizione che non amo particolarmente, chi mi conosce sa bene quanto io parli.
Ma parlare e dire sono concetti assai distanti.

Così come per usare un luogo comune "tra il dire e il fare c'è dimezzo il mare".

Ma esistono cose di cui non si parla, non si dice nulla e nessuno fa niente? Sì. Migliaia.

Riflettevo su questa cosa proprio qualche giorno fa, quando per puro caso mi sono fermato a riflettere su un gesto comune che avevo appena fatto.
Con la peggiore delle espressioni di rabbia in viso avevo sbraitato in malo modo ad un uomo.
Un uomo più grande di me, che non ha mai smesso di sorridermi, che svolgeva il suo lavoro.

Mentre tornavo verso casa pensavo e ripensavo a quell'uomo.
Da quanto tempo faceva qual lavoro? Perché fa quel lavoro? Quanto guadagna? Quante sfuriate al giorno prende? Ci avrà fatto il callo o ogni nuova sfuriata pian piano lo ferisce sempre di più? Con chi vive? Ha una famiglia? Fa tutto questo per loro? Cosa fa quando non lavora? Cosa avrebbe voluto fare al posto di quel lavoro? Cosa sognava da bambino?

Insomma...meritava quel trattamento così brusco?
Da me, che dalla vita ho avuto tutto?

Quell'uomo è un lavavetri, e gli ho urlato rabbioso solo perché "ha osato" toccare con il suo utensile il mio parabrezza.
Perché siamo arrivati a questo?
Ci illudiamo che la schiavitù sia terminata secoli fa, ma non è così. Quell'uomo, così come gli altri lavavetri, i venditori di accendini e fazzolettini, le prostitute, sono tutti schiavi.

Nessuno di loro vorrebbe fare quel lavoro, ma DEVONO, sono schiavi di qualcuno che ne abusa. Qualcuno nega loro la libertà riccattandoli, ricattando i loro cari, minacciandoli in svariati modi.

Sono lì, li vediamo ogni giorno, il più delle volte li ignoriamo, quando costretti ad interagirci lo facciamo con fare scostante o indifferente e fugace.  Siamo abituati a dimenticarli, e non registrarli in memoria. Siamo abituati a fingere che non esistano.

Parliamo dei lavavetri come una piaga, come un fastidio, ma quanto è grave il nostro fastidio rispetto al loro dramma?

Se vedessimo un film in costume ambientato nell'antica Roma, in cui uno schiavo subisce una sfuriata per aver osato toccare un nobile ci sentiremmo superiori. Noi uomini evoluti del ventunesimo secolo riconosceremmo l'immoralità della schiavitù, affronteremmo un dibattito se necessario. Difenderemmo la nostra morale basandoci sul concetto assoluto di giustizia. Eppure, urliamo ad uno schiavo lavavetri solo perché osa toccare il nostro parabrezza.

Da questa esperienza ho imparato.
Ho riflettuto bene e ho realizzato che per quanto insistenti, quegli uomini sono soggiogati. Obbligati da qualcuno a fare un lavoro che non volevano fare. Io non ho nessun diritto di urlare loro.

Io ho il dovere di essere educato anche quando esagerano e la mia risposta deve essere un garbato "no grazie", perché se non posso fare nulla pr migliorare la loro situazione non voglio essere parte del loro incubo. Loro hanno diritto di scazzare, ne hanno più di quanto ne abbia io e se puliscono il mio vetro quando non l'ho richiesto, un educato "mi spiace" sarà di certo una risposta più civile che urlare loro come fossero bestie.

Non commetterò più l'errore di arrogarmi un inesistente diritto di superiorità sociale verso gente che fa una vita assai più dura della mia.

venerdì 18 aprile 2014

Porsi agli altri

Da che ho memoria, ho sempre interagito con gli altri in modo abbastanza soddisfacente. Ovviamente negli anni avrò fatto le mie esperienze imparando da errori e successi, ma fin dall'inizio il mio intento era sempre quello di mettere a proprio agio i miei interlocutori.
Questo non significa che tentassi di compiacerli, persino quando l'interazione era di carattere ostile cercavo sempre di mantenere il mio lessico, le mie similitudini e i miei riferimenti all'interno di quei contesti sociali, culturali o emotivi a cui associavo l'interlocutore di turno.

Probabilmente questo è diretta conseguenza di quell'istintiva presunzione che fin da piccolo mi ha sempre portato a pensare di essere migliore. Non di tutti ma sicuramente di parecchi.
E se un tempo il mio cercare il modo giusto di spiegare era mosso dalla presuntuosa convinzione di non poter essere capito al volo, col tempo iniziai a farlo mosso dalla coscienza di non poter essere presuntuosamente capace di capire tutti.
Così, affinando questa tecnica e amplificando la capacità di ascoltare, col passare degli anni, creare paragoni e ragionamenti perfettamente calzanti ai miei interlocutori è diventato sempre più immediato e istintivo. 

E quindi?
Quindi compiacendomi parecchio di essere capace di intavolare conversazioni stimolanti con moltissime tipologie di persone, da quelle con cui condivido moltissime cose a quelle diametralmente opposte su più fronti, credo che questa cosa mi mi abbia arricchito motissimo e che mi arricchisca ogni giorno di più.

Ho imparato che ogni interlocutore ha un bagaglio culturale diverso, interessi diversi, profilo psicologico diverso e necessità emotive diverse. Che bisogna usare le parole giuste, tanto per compiacere quanto per confutare. Portare la conversazione in termini consoni per permettere all'interlocutore di interagire istintivamente e quindi di spiegarsi e percepire al meglio.
Inizialmente pensavo che questo ragionamento fosse banale e ovvio a tutti eppure ho la netta sensazione che moltissimi problemi interpersonali che da anni vedo scoppiare tra le persone siano  spesso causa di mancanze comunicative, talvolta accumulate, altre estemporanee.

Parlo del modo in cui vadano dette le cose.
Dosando e selezionando le parole è possibile non litigare mai con nessuno e in quei rarissimi casi in cui si innescano situazioni che mi indispongono, si può quasi sempre gestire la situazione senza dover giungere a quell'irreversibile condizione di conflitto che annebbiando la mente (di entrambi gli interlocutori) porta l'interlocuzione in termini più atti a ferire che ad esporre e ragionare.

A volte può bastare una sola parola sbagliata, una pausa troppo breve o persino troppo lunga tra una parola ed un altra per far sì che un discorso prenda pieghe del tutto inappropriate e insperate.
Se questo accade così spesso, è perché non si ha l'abitudine ad ascoltare e ad immedesimarsi.

Non credo che serva un'ottima memoria credetemi, non serve ricordare ogni dettaglio persona per persona, ma prestare semplicemente attenzione ad ognuno e assorbirne istintivamente la sua dimensione.

Sono convinto che il cervello umano sia capace di cose meravigliose e senza troppi sforzi, impegnadosi giusto ad ascoltare e a cercare di capire quale emozione supporta le parole delle persone ci si ritrova ad associarle a quello sfaccettatissimo bagaglio culturale che si portano appresso.
Comunicare può diventare semplicissimo e scambiare opinioni, incentivare o persino giudicare possono diventare circostanze serene e impagabilmente utili.

venerdì 11 aprile 2014

Catania, Palermo e la stupida rivalità tra due città



Da quando ho lasciato Palermo ho iniziato giorno dopo giorno a guardare la mia amata città con occhio sempre più critico.
Ciò che rende la mia critica sempre più aspra è la graduale disintossicazione da tutti quegli usi e costumi "errati" che con il tempo arrivano a risultarmi così estranei da farmi rabbrividire alla sola idea di non averci fatto caso per ben ventotto anni.

Ci sarebbero tantissime cose di cui lamentarmi e su cui rimproverare severamente tantissimi  conterronei, ma mi soffermerò su un solo concetto che in carattere generico non riguarda esclusivamente la mia città. La rivalità tra città.

Anche se in questo articolo mi limiterò ad analizzare il fenomeno relativo alla secolare faida Palermo-Catania, mi rivolgo per estensione a tutti gli abitanti di quelle città che si trovano in una situazione analoga.

Sarebbe meraviglioso potervi raccontare una storia epica ambientata nella Sicilia Saracena o Normanna in cui due leggendari nobiluomini delle rispettive città diedero inizio ad una tenzone d'onore che si ripercosse sulle intere popolazioni.
Purtroppo non posso.
Per quanto io abbia cercato di documentarmi esistono innumerevoli teorie e supposizioni a riguardo ma nessuna certezza e se non sappiamo perché nacque quest'odio reciproco, sappiamo che si tramanda da secoli.

Purtroppo, ad alimentare questa antichissima faida ha contribuito una delle più grandi piaghe culturali dell'intera penisola, il gioco del calcio.

E se il derby di Sicilia viene talvolta vissuto sportivamente in contesti socio-culturali di un certo livello, ai piani più bassi della società ciò che era antipatia indotta si tramuta in odio e violenza.

Quando dico "antipatia indotta" mi riferisco a tutte quelle circostanze in cui ogni palermitano (e suppongo ogni catanese) si trova in mezzo sin da bambino. "Chi non salta è catanese" è una nenia da stadio sulla base melodica di "Bella Ciao" capace di far vibrare l'intera struttura dello stadio e anche solo accennata nella versione meno musicale e più ritmata "Chi non salta catanese è... è...." porta i bambini palermitani a saltellare istintivamente.
I bambini non sanno perché, ma se tutti attorno a loro saltano, di certo non si porranno troppe domande e si conformeranno per necessità di accettazione.

Sui muri di palermo, i graffiti che esternano l'odio per la città etnea sono numerosissimi (non più numerosi dei SUCA ma comunque numerosissimi) e la cattiveria e la brutalità regnano sovrane: "Catania Merda", "Catania = AIDS" "Donne catanesi fate un favore al mondo: abortite", "Meglio handicapato che catanese" eccetera eccetera..

...

Se a prima vista può sembrare solamente agghiacciante, diventa disgustoso se si considera che coloro che arrivano a scrivere e pensare queste cose sono spesso persone che nutrono quest'odio così intensamente fin dall'infanzia da non aver mai rivolto parola ad un catanese all'infuori di un coro da stadio. Le stesse persone capaci di prendersi reciprocamente a sprangate dentro e fuori gli stadi.

Non voglio criticare i palermitani ed elogiare i catanesi, il discorso è ovviamente ambivalente, non credo proprio che l'etichetta "palermitano" o "catanese" possa identificare una tipologia di persona.
In ogni luogo del mondo ci sono persone fantastiche e persone di merda.

Sul valore folkloristico di questa faida, ironizzo molto pure io, ma ho sempre trattato la cosa come un gioco scherzoso spesso perpetrato in presenza di amici catanesi che ricambiano a loro volta, ci si fa tutti una risata e ci si abbraccia come fratelli. Il luogo in cui siamo nati torna ad essere un dettaglio come il colore dei capelli, la statura o la stazza, ovvero del tutto irrilevante ai fini della conoscenza o di un'amicizia.

martedì 8 aprile 2014

Captivus: colui che è fatto prigioniero



Fin da quando ero bambino, sono stato bombardato da favole, fumetti, cartoni animati, videogiochi e film in cui alcuni protagonisti, rappresentavano le icone eroiche per eccellenza.

Che l'ambientazione fosse fantastica, realistica, sportiva o persino post atomica questi personaggi riuscivano sempre a spuntarla, a resistere ai soprusi e in un modo o nell'altro a sconfiggere "i cattivi".

Il problema, per un bambino che come me era cresciuto con sani principi ma compagni di classe talvolta prepotenti, era che i buoni risultavano insopportabilmente noiosi. Tifare per i buoni era fin troppo facile perché tanto avrebbero vinto sempre e comunque.

Questi personaggi "buoni" tra l'altro, oltre a delle controparti cattive sempre più spregevoli, erano anche accompagnati da alleati meno "forti" di loro ma spesso tremendamente più fighi.

Se quindi fu molto facile fin da subito sognare di avere il fegato del cattivo, fu altrettanto facile sognare di essere un buono ultrafigo piuttosto che un bamboccione protagonista di turno.

Così già dalle prime classi delle elementari (pochissimi anni prima che io iniziassi a disinteressarmi del tutto al pallone) il mio idolo calcistico fu subito Mark Lenders.
Credetemi, questo scatenò un odio tremendo da parte dei compagnetti... mentre tutti tifavano per Oliver Hutton e qualche alternativo per Giulian Ross, io sognavo una maglia con le maniche arrotolate e una cattiveria senza pari.
Tutti odiavano Mark Lenders, lo odiavano perché era il più figo.

Così il connubio antagonismo+coattezza si instillava sempre più profondamente nel me bambino e così qualche tempo dopo, quando dovetti scegliere quale tifare tra un ebete col caschetto biondo e pantacollant viola e un alieno blu con la faccia da scheletro e un fighissimo bastone con tanto di teschio d'ariete in cima non mi ci volle poi molto. Col passare degli anni furono innumerevoli gli antagonisti e i comprimari fighissimi di cui fui fermo sostenitore:
Mister X, Mark Lenders, Boyakki, Tonzula e Miss Dronio, Dick Dastardly e Muttley, Skeletor, Hordak, Tri-Klops, Jitsu, Jigen, Fujiko, Ikki di Phoenix, Hyoga del Cigno, Tisifone, Il Gran Sacerdote Arles, Orion di Asgard, il Maestro Splinter, Casey Jones, Shredder, Tong Po, Chong Li, Chewbacca, Darth Vader, l'Imperatore Palpatine, Undertaker, Lgion of Doom, Jake the Snake Roberts, Kane, Mankind, Lobo, Lex Luthor, Joker, Bane, Alan Scott, Guy Gardner, Atrocitus, Larfleeze, Ghost Rider, Mystica, Magneto, Loki, Hulk, Venom e Carnage, Shin, Rei, Yuda e Souther di Nanto, Ain, Raoh e Toki di Hokuto, Alex DeLarge, Frank-n-Furter, Riff Raff e Magenta, Sonny Corleone, Virgil Sollozzo, Jena Plissken, Sardo Numspa, Benedict, Mickey e Mallory Knox, T1000, il Sergente Maggiore Hartman, Marcellus Wallace, Boris Balkan, il Colonnello Nathan R. Jessep, Bowser, Waluigi, Piccolo, Vegeta, Trunks, 18, Cell, Blanka, Zangief, Balrog, Vega, Sagat, M.Bison, Akuma, Grimilde, Jafar, Scar, Scorpion, Baraka, Smoke, Kano, Shang Tsung, Sindel, Jade, Shao Kan, Nina e Anna Williams, Heiachi e Kazuya Mishima, Darth Maul, il Conte Dooku, l'Agente Smith, Benjamin Linus, Smookey, Ozymandias, Gaara del Deserto, Shikamaru Nara, Kabuto, Tsunade, Orochimaru, Ditocorto, Roose Bolton, Tiwin Lannister, Barristan Selmy, Melisandre, Mance Ryder... e chissà quanti ne avrò dimenticati.


Quella che era una sorta di attrazione "a pelle" è pian piano diventata una scelta sempre più cosciente e voluta. Noto sempre di più che "i cattivi" sono più dettagliati nell'aspetto e più sfaccettati nel carattere, che spesso partono da una grande sofferenza e profonda frustrazione. Un dolore che i buoni non provano troppo spesso.I cattivi sono vittime che ad un certo punto dicono basta. E mentre la società ci impone di perdonare e passare oltre, loro avevano il fegato di farla pagare a tutti.
Sì, ok, lo so che non è condivisibile, ma il fascino che scaturisce da queste cose è per me irresistibile quantomeno nella fantasia.

Quindi tra maniche arrotolate, girocolli di piume, elmi irti di lame, pastorali coi teschi, guanti artigliati e mentalità brutali prive di scrupoli ma non per questo meno machiavelliche, crescendo, cercai come tutti di ispirarmi sempre di più ai miei idoli, e anche se tutto questo non ha fatto di me un super cattivo, mi ha reso semplicemente molto molto coatto.

martedì 18 marzo 2014

AAAA: Acontentarsi, Adattarsi, Ambire e Appagarsi

Aladdin's LampQueste quattro "A" sono la base dei nostri desideri.
Spesso vorremmo tanto qualcosa, sia essa una cosa materiale, un concetto o un avvenimento.

La idealizziamo, e mentre inizialmente la focalizziamo con precisi dettagli, man mano che il nostro desiderio si protrae nel tempo i dettagli superflui vanno svanendo gradualmente fino a quella che io chiamo "maturazione del desiderio", ovvero quel momento in cui la nostra speranza si assesta in base a condizioni imprescindibili che in quel momento definiscono il "minimo che accetteremmo".

Questo fenomeno ovviamente ha una rilevanza molto soggettiva, tutti conosciamo persone che vorrebbero sempre "troppo" e persone che si accontentano "troppo spesso". Ad ogni modo tutti, prima o poi tutti desideriamo qualcosa e prima o poi ci troviamo al cospetto delle quattro A.

In funzione delle nostre aspettative, quando finalmente otteniamo qualcosa, la paragoniamo (a volte inconsciamente) a quella maturazione del desiderio che fino a pochi istanti prima ne disegnava l'idealizzazione. A questo punto, se il paragone evidenzia una totale differenza rispetto alle nostre aspettative, di certo non considereremo "esaudito" il nostro desiderio e la delusione sarà inevitabile. Se però le differenze dalle nostre aspettative non sono totali scatta la procedura d'accettazione che identificherà ciò che abbiamo ottenuto in una delle quattro categorie possibili: Accontentarsi, Adattarsi, Ambire e Appagarsi.

Accontentarsi
Quando ciò che abbiamo ottenuto presenta numerose differenze con il nostro desiderio ma tutto sommato ne rispetta alcune caratteristiche siamo portati istintivamente a non disprezzarlo e per quanto il desiderio non venga considerato esaudito si finisce con il godersi "quel poco"che si è ottenuto.

Persistenza del Desiderio: 8
Pretesa: 6
Frustrazione:  5
Soddisfazione: 5
Motto: "meglio di niente"

Adattarsi
Quando ciò che abbiamo ottenuto presenta poche analogie con il nostro desiderio ma allo stesso tempo ne rappresenta una valida alternativa, istintivamente lo cataloghiamo come "qualcos'altro", e anche se il desiderio non viene dimenticato, viene di certo attenuato a causa di una buona dose di soddisfazione.

Persistenza del desiderio: 6
Pretesa: 3
Frustrazione: 3
Soddisfazione: 7
Motto: "non m'è andata male"

Ambire
Quando ciò che abbiamo ottenuto presenta numerose caratteristiche del nostro desiderio il nostro umore migliora istantaneamente e dopo un breve (ma variabile soggettivamente) periodo di Appagarsi si passa ad Adattarsi, e pian piano iniziano a tornarci in mente tutte quelle caratteristiche superflue che con la maturazione del desiderio eravamo riusciti ad escludere. Così scesi al livello di Accontentarsi si accende in noi quella lampadina che non smette di rocordarci quanto la nostra idea iniziale fosse diversa. Il desiderio si innesca nuovamente e iniziamo a sottostimare ciò che abbiamo ottenuto, con il trascorrere del tempo.

Persistenza del desiderio: 10
Pretesa: 10
Frustrazione: 7
Soddisfazione: 3
Motto: "merito di meglio"

Appagarsi
Quando capita la fortunata circostanza in cui otteniamo qualcosa estremamente somigliante alla nostra idealizzazione iniziale, il buon umore viene immediatamente accompagnato di pari passo dall'incredulità e anche se in alcuni casi si innesca l'istinto di trattenere l'entusiasmo la nostra soddisfazione interiore raggiunge un livello superiore a quello immaginato. Il desiderio si spegne quasi del tutto e gli effetti di un'esperienza simile possono incidere persino sulla personalità.

Persistenza del desiderio: 2
Pretesa: 0
Frustrazione: 0
Soddisfazione: 10
Motto: "non avrei potuto chiedere di meglio"

Ovviamente non possiamo decidere in che modo prendere le cose. Oltre che dalle caratteristiche di ciò che otteniamo, la nostra reazione dipende anche dal nostro umore iniziale, dai nostri precedenti e persino dalle persone coinvolte.
Questa riflessione odierna è solo un modo personale che ho di analizzare le cose, forse un po troppo schematizzato, ma di certo mi aiuta a capire cosa sto facendo e perché.
Se anche voi in certe cose vi riconoscete in alcune di queste "A" abbiatene coscienza.

venerdì 7 marzo 2014

Il Porno: Ispirazione, false aspettative e vari titpi di conseguenze


Sono un pornofilo.
Collezionavo porno all'epoca del VHS e da quando il web ha preso il sopravvento ne ho collezionato ed archiviato innumerevoli centinaia di Gigabyte.

Premetto che, da quel che ho potuto appurare negli anni, ci sono diversi tipi di pornofilia e poiché tentare di elencarne una lista sgnificativa anche ridotta sarebbe altamente pretenzioso, inizio limitandomi a descrivervi il mio personale tipo di pornofilia definendola "accademica".

Credetemi, questo non è un meschino tentativo di giustificarmi. Anche se posso essere mosso da libidine guardando alcuni generi di porno, guardandone molti altri con altrettanto interesse, la libidine lascia spazio alla curiosità e alla bramosia di conoscenza.

Questa bramosia di conoscenza non è riferita esclusivamente alle innumerevoli pratiche sessuali, ma ad una sorta di personale ricerca anche filosofica che punta ad una comprensione filantropica della vastità e varietà della libidine dell'essere umano. Non ho alcuna presuntuosa intenzione di paragonarmi ad Alfred Kinsey ma sono sicuro che se lui avesse avuto a disposizione il porno odierno ne avrebbe sfruttato ogni aspetto per approfondire la sua ricerca.

Tutto questo porno, così variegato e facilmente raggiungibile è un bene?
In realtà dare una risposta a questa domanda mi è impossibile, al massimo posso tentare di analizzare alcuni vantaggi e svantaggi che questo causa nella società odierna: Il porno oltre che vario e reperibilissimo, oggi è (volendo) anche  interattivo. Dopo circa vent'anni di porno cinematografico farcito di trame improbabili, colonne sonore di Fausto Papetti e ambientazioni surreali, l'avvento del web e dei portali pornografici ha permesso agli utenti non solo di cercare gli argomenti più disparati ma di produrre all'occorrenza il proprio porno casalingo. Così agli albori dell'epoca del web il proliferare di numerosi siti privati e sezioni apposite ha causato la rinascita di un macro-genere che fino a quell'epoca era stato poco sponsorizzato: L'Amatoriale.

Genere che oggi va per la maggiore, a tal punto che esistono riprese "stile Amatoriale" che ne simulano le circostanze e le caratteristiche. Le maggiori pornostar di oggi non sono famose per i loro "film" ma per i video sugli appositi portali di video-sharing.
Al pornofilo odierno non bastano più solo le stangone biondissime con enormi tette sferiche siliconate e succintissimi indumenti da sexy shop. Oggi il pornofilo non vuole vedere solo gente che finge, vuole vedere anche amplessi veri di gente vera. O quanto meno di gente e situazioni che sembrano tremendamente vere.

Questo sul piano dell'emancipazione sessuale ha contribuito tantissimo nella diffusione della consapevolezza sessuale, molti tabù sono sempre meno sentiti e persino le pratiche sessuali più astruse sono sempre più conosciute anche se non necessariamente praticate o apprezzate.
Oggi avere dei gusti sessuali per generi è un concetto normale e quelle sfumature che un tempo venivano demonizzate come "perversioni" oggi sono considerate "semplici" parafilie. Se prima un tabù era un argomento che andava categoricamente ignorato oggi è solo un qualcosa che anche quando non trattato pubblicamente si da per scontato sia noto quasi a tutti.
Ecco perché con il susseguirsi delle generazioni le inibizioni sono sempre meno presenti e l'istinto sessuale è sempre più prematuro, perché tutta questa gente che fa "quelle cose" ce le fa sembrare (finalmente) più normali e accettabili. Tutto questo è diventata un'automatica e graduale tendenza a conformarsi.

In che modo allora questo materiale di ispirazione causa degli svantaggi?
Perché il porno è pur sempre l'industria più remunerativa di sempre. Dal mestiere più antico del mondo agli ultimissimi social networks dedicati allo scambio di coppia, il sesso è quella cosa che l'essere umano ricerca sempre e comunque. Qualsiasi cosa sia remunerativa, però, prima o poi viene abusata oltre ogni limite ed è per queste ragioni che si è arrivati al porno "finto amatoriale" che, essendo ampiamente più diffuso dei video amatoriali reali, inganna la gente.
Questi inganni causano una visione contorta in coloro che approcciano al sesso in modo "immaginario", ovvero in tutte quelle persone che non conoscono il sesso vero per svariati motivi, siano essi legati all'età o a tratti caratteriali.

Agenti fasulli che ingannano donne in finti casting per porno-attrici esordienti, finte gang a bordo di furgoni che abbordano ragazze facili per strada che vengono "ripassate" sullo stesso furgone in corsa. Finti ricconi che corrompono con cifre da capogiro comuni signore all'ingresso di centri commerciali per trombarle in ogni modo scibile a bordo del proprio yacht...
Donne che ansimano come fossero flagellate, uomini dalle dimensioni spropositate e durate da maratoneta, sfinteri anali che non oppongono alcuna resistenza, cunnilingus dal ritmo convulsivo e fellatio brutali da lacrime impastate di eye-liner...
Eiaculazioni degne di un liquidator, eiaculazioni femminili come fontane, ammucchiate in pubblico e utilizzo di oggetti da fare impallidire un estintore...
 
Tutto questo, ripreso con telecamere mobili, a volte dagli stessi "attori", senza un montaggio, senza troppo trucco, senza faretti e senza sassofono di sottofondo. Tutto sembra VERO.

L'aspettativa diviene pericolosa.
Per chi non ha mai praticato l'attività sessuale diventa difficile capire bene, che in termini generali, un uomo non è un pistone idraulico inesauribile e che una donna non necessariamente gode solo con una energica pacca sul culo. Per chi non si è mai trovato in quelle circostanze non è affatto facile dare per scontato che i preliminari non siano per forza frenetici e brutali, che il sesso non sia per forza sfrenato, condito di posizioni da circo e orgasmi esclusivamente egoisti.

Essere diversi da "quelli dei porno" non è un difetto ed ispirarsi a loro è ben diverso dal subirne l'arduo confronto. Solo che i giovani (o coloro che sono costretti ad idealizzare il sesso per altri motivi), non lo sanno.
La propria concezione del sesso ed il paragone con quel sesso tanto sponsorizzato nel porno diventa inevitabile e chi si trova a paragonare finisce per avere tantissime intenzioni e bramosie senza avere la coscienza che i mezzi a propria disposizione sono ben diversi nelle esigenze, nelle sensazioni e nelle prestazioni.

Idealizzando solo il sesso così "esagerato" si finisce per sconoscere le sue basi, ed è anche per questo che alcuni ragazzi di oggi fanno sesso quasi fine a se stesso. Per questo per loro perdere la verginità è diventato uno status symbol e fanno subito tanto sesso difficilmente identificabile come "buon sesso".

Oltre i giovani, anche quelle persone che in età adulta non hanno ancora perso la verginità si trovano vittime di questa idealizzazione e talvolta stentano a trovare sicurezza. Immaginano qualcosa di diverso, di difficile da raggiungere, si avviliscono e subiscono gravi ansie da prestazione. Così, capita che quando si presenta loro l'occasione tanto anelata finiscono per sbagliare qualcosa e mandano tutto in fumo senza capire dove hanno sbagliato.  Alcuni sbagliano cercando di adeguarsi a quello che vedono nei porno esordendo con qualcosa di decisamente indelicato o maniacale, altri sbagliano accettando la sconfitta del paragone con tale timore repressivo risultanto del tutto asessuati o privi di carattere.

Per fare fronte a tutto questo, secondo me, il porno dovrebbe diventare un argomento comune. Se ai bar si parlasse apertamente anche di argomenti come lo squirting o il deep-throat sarebbe fruibile per tutti il paragone con l'esperienza reale di chi conosce il sesso vero. Capire che certe pratiche e dettagli sono "possibili" e non "imprescindibili" eviterebbe ripercussioni psicologiche e sociali che per molta gente possono risultare disastrose.
Ovviamente è un'idea utopica e provocatoria, e qualora si dovesse verificare sono certo che tutto si ridurrebbe in breve tempo in una decadente perdita del pudore e del buon senso piuttosto che in un'emancipazione della coscienza sessuale.

Per quanto mi riguarda, conoscendo il sesso reale, trovo che come fonte di ispirazione il porno insegni tante cose. Se queste ispirazioni vengono considerate come componenti "possibili" piuttosto che "imprescindibili" e si affrontano nella consapevolezza di se e nel rispetto dei gusti propri e dei partners il sesso sarà sempre bello e gustoso.

Proporre non pretendere, tentare non imporre, ispirarsi non paragonarsi.
Godere e non giudicarsi.
Amen.

mercoledì 5 marzo 2014

La Grande Bellezza: un film vittima della diffusione.



Tre giorni fa sono stati assegnati i premi Oscar per il 2014.
Tre giorni fa il film "La Grande Bellezza" è stato premiato come miglior film straniero.
Ieri in televisione è stato trasmesso "La Grande Bellezza".
Ieri, molte persone incuriosite hanno visto il film.

Prima di iniziare il mio ragionamento riguardo questo argomento voglio premettere che a mio avviso uno dei mali più grandi del mondo è l'aspettativa. Procedendo con la scrittura di questo articolo cercherò di spiegarvi in che modo sia stata proprio l'aspettativa ad alimentare il fenomeno anti-"La Grande Bellezza" che nelle ultime quarantotto ore ha intasato i social networks ed emittenti televisive e radiofoniche.

Questo film, come molte cose in questo mondo, piuttosto che alla grande massa, è più adatto ad un determinato target di persone. Quelle stesse persone che ne sono state incuriosite ben prima che si parlasse di Oscar. Lo stesso titolo e quel po' di fotografia che si evinceva dal trailer, già preannunciavano proprio a quel target di persone che nel film sarebbe stata presente una consistente dose di carattere artistico.

Preciso che in termini generali, intendo per "carattere artistico" quell'intenzione di base volta ad esaltare certi dettagli che un autore imprime a suo modo nell'opera che produce. Essendo una caratteristica emotiva, il carattere artistico non va necessariamente correlato alla competenza tecnica.
Supponendo per assurdo che componente artistica e competenza tecnica siano le uniche due caratteristiche identificabili in una qualsiasi produzione (letteraria, grafica, materiale, musicale, teatrale o cinematografica) potremmo semplificare la relazione tra loro ed il risultato finale in questo modo:
  • Poca arte e poca tecnica = produzione amatoriale.
  • Poca arte e molta tecnica = fenomeno di massa.
  • Molta arte e poca tecnica = fenomeno di nicchia.
  • Molta arte e molta tecnica = patrimonio culturale universale.
I fenomeni di massa, per ovvie ragioni di mercato, sono molto più diffusi e ne vengono prodotti tantissimi periodicamente. Sono queste le produzioni che vanno ad aggiudicarsi di anno in anno i premi del loro campo (letteratura, cinematografia etc.) senza suscitare incoerenti obiezioni da parte del grande pubblico (la maggioranza della massa).

Il grande pubblico, per grandi linee ormai, sa riconoscere la tecnica e potendo cimentarsi in paragoni basati tanto su pareri soggettivi quanto in constatazioni oggettive sa produrre in qualche modo quella critica media che i mass-media chiamano "approvazione del pubblico".
È proprio l'approvazione del pubblico ad influenzare la produzione dei successivi fenomeni di massa, e questo loop genera quella tendenza che detta le direttive a quelle ovvie ragioni di mercato di cui parlavo prima.

Oltre ai fenomeni di massa, parallelamente, esiste una produzione di fenomeni di nicchia (di innumerevoli tipologie di nicchia) molto meno sponsorizzata ma non per questo meno costante.
Queste produzioni, fin dal principio, non nascono per essere rivolte al grande pubblico e il loro risultato è infatti sovente più apprezzato in specifici contesti culturali o da determinati porzioni di pubblico particolarmente incline ad una data tematica (sia essa politica, sociale, filosofica, religiosa o quant'altro).

Nell'odierno periodo storico, in pieno boom del web 2.0, percepire l'approvazione del pubblico è diventato estremamente facile e soprattutto immediato. I social networks, raggiungibili in qualsiasi momento da chiunque, sono un fulcro portante della società attraverso cui scorrono freneticamente le opinioni su qualsiasi argomento d'attualità.
I social networks, ormai, sono i principali veicolatori delle notizie e se bene sia noto quasi a tutti che l'attendibilità degli elementi condivisi a catena possa risultare alquanto discutibile, la pigrizia e la supercifiale buona fede dell'utente medio mantengono il diffondersi delle notizie veloce e il livello culturale medio... nella media.

Già pochi minuti dopo l'ufficializzazione della nomination come miglior film straniero de La Grande Bellezza, una porzione di internauti italiani commentava e discuteva l'argomento sui social ed è stato dal momento dell'effettiva vittoria dell'Oscar che l'argomento si è espanso fino a raggiungere una diffusione esagerata, portando il film all'attenzione di moltissima gente che fino a quel momento ne aveva ignorato l'esistenza o che aveva già evitato di andarlo a vedere quando uscì al cinema.

Ovviamente, il tormentone mediatico del "film italiano vincitore del premio Oscar" ha immediatamente incuriosito tutta quella gente che, di base, non lo avrebbe visto, creando un'aspattativa da "fenomeno di massa" per un film invece più adatto ad un pubblico di nicchia.

Due giorni dopo la vittoria della statuetta, in prima visione TV, Canale 5, mietendo i frutti di una campagna pubblicitaria a costo zero avvenuta sui social networks, propone in prima serata il film del momento e accaparrandosi una colossale audience di quasi nove milioni di telespettatori permette alla gente di vedere il famigerato film. Così, milioni di telespettatori incollati al televisore assistono finalmente al film di cui hanno tanto sentito parlare o letto e lo fanno social networks alla mano bramosi di poter commentare personalmente.

Senza entrare nello spinoso ma plausibile argomento dell'eventuale antipatia o pregiudizio a priori  che alcuni telespettatori potrebbero aver inconsciamente provato, la gente in un modo o nell'altro si è trovata davanti ad un film che sotto ogni aspetto non rispettava i canoni della sua aspettativa. 

Essendo quella gente una porzione rappresentative del "grande pubblico" mediamente inadatto a quella caratura filosofica, l'effetto "disapprovazione del pubblico" apparentemente globale in diretta mediatica è stato inevitabile.

Questo non significa che chi non abbia gradito il film sia "stupido" o "mediocre", il gradimento può basarsi su fattori talmente innumerevoli che tentarne un'analisi completa caso per caso sarebbe impossibile, in più, essendo il gradimento un parere soggettivo esso è e rimarrà sempre indiscutibile.

La mancanza di caratura filosofica di numerosissimi telespettatori non ha impedito loro di seguire il film, ma ha reso inaccessibili quelle tematiche introspettive ed evocative che si nascondono dietro quell'artistica esposizione di una trama volutamente semplice basata sul "come" piuttosto che sul "cosa".

Quindi cos'è La Grande Bellezza senza tematiche introspettive ed evocative ?
È un film senza trama che mostra solo gente ipocrita e piena di soldi che passa il proprio tempo in una splendida Roma saltando da un evento mondano discutibile all'altro tra frasi saccenti ad effetto e inconcludenti spunti di trama che non portano a nessun finale.
Un film del genere non fa altro che sporcare alla gente comune quegli ultimi sogni di idilliaca alta società e anelato benessere economico. Dettagli come la nana, il botox party e la bambina pittrice diventano grette surrealtà che insultano gratuitamente un qualcosa di idealizzato molto diversamente.

Se ci riflettete, il fatto che a milioni di persone non sia piaciuto La Grande Bellezza senza tematiche introspettive ed evocative è naturale e facilmente comprensibile. Così come è stato naturale e pronosticabile che numerose giurie di specifica competenza artistica di tutto il mondo abbiano deciso di premiare La Grande Bellezza nella sua interezza.

Il punto non è che il film non è stato capito, proprio perché non ci si aspettava affatto che il grande pubblico potesse percepirne le tematiche introspettive ed evocative.

Il fatto è che il film di Sorrentino ha subito l'effetto boomerang di una vera e propria overdose di pubblicità attirando anche l'attenzione di persone a cui non è adatto.

giovedì 27 febbraio 2014

Le maschere che indossiamo


Fu nel 1994 che al cinema vidi The Mask con Jim Carrey. L'esilarante commedia, parodiando i cartoni animati, crea un'ambientazione fantastica diretta ad un pubblico giovane e sognatore.
Il fulcro del film è incentrato proprio su una maschera che può trasformare chi la indossa nell'estremizzazione dei suoi desideri e fantasie.
Durante il film il protagonista, guardando la TV, si sofferma qualche istante in un talk show dove uno psicologo presenta il suo libro intitolato "Le maschere che indossiamo" e questo piccolo dettaglio sin da allora mi ispirò una costante e profonda riflessione sull'argomento.

Nella mia personale teoria riguardo alla personalità e i rapporti interpersonali, le maschere sono un concetto metaforico molto importante. A mio modesto personale parere ognuno di noi, nessuno escluso, è in possesso di un variabile numero di maschere sovrapposte che va da un minimo di quattro ad un massimo incalcolabile.
Esattamente, penso che quelle quattro maschere siano imprescindibilmente presenti in ogni individuo pensante e che faccia parte di una realtà sociale. Ovviamente, tra questi "strati" possono essercene altri intermedi più o meno numerosi che possono prendere forma in funzione di ulteriori dettagli, che per ovvie ragioni di vastità non possono essere generalizzati.

Ogni persona ha delle insicurezze, delle apprensioni, pregiudizi e fobie. Queste peculiarità sono ciò che definisco nucleo. Al suo interno sono custodite le ferite de passato, i rimorsi, i rimpianti e i punti deboli, perché il nucleo è la parte più fragile e reale di ogni personalità e proprio per questo, istintivamente, nessuno lo mostra.

Ora, prima di tornare a parlare del nucleo, vorrei spiegarvi che a mio avviso ogni essere pensante è in grado di focalizzare la propria "identità" su un solo strato alla volta. Proprio come fossero dei canali televisivi, credo che non ci si possa "sintonizzare" su due canali contemporaneamente e questo perché la sintonizzazione non avviene in modo totalmente volontario, ma perché viene indotta dal contesto sociale predominante presente in quel momento.

Il nucleo, quindi, è la parte centrale dell'io. Privo di maschere, atteggiamenti e proiezioni, il nucleo è quella parte che si innesca solo quando siamo da soli e pensiamo. È proprio perché si manifesta quando non è presente nessuno che difficilmente si proferisce parola quando si è sintonizzati sul nucleo. Quando parlo dell'argomento mi piace dire che "siamo veramente noi stessi solo la sera, quando andiamo a letto, spegniamo la luce e iniziamo a pensare".

Basta quindi la presenza di un'altra sola persona per innescare le maschere?
Quasi.
Più che la persona in sé è il contesto cui quella persona è legata a innescare una maschera piuttosto che un altra. All'inizio ho parlato di quattro strati imprescindibili e vi illustrerò quali sono attribuendo loro i nomi dei contesti sociali che li innescano.

Il nucleo in realtà non fa parte degli strati, al massimo, per fare contenti i pignoli filo-matematici come me potrei definirlo lo strato zero.

Il primo strato è quello intimo. Viene innescato dalle interazioni con i partner di relazioni idilliache e, in rarissimi casi, da pochissime altre persone come i migliori amici pluriventennali o fratelli con cui si condivide un rapporto particolarmente fraterno. Quando entra in funzione la "maschera intima" i nostri difetti e le nostre insicurezze non sono affatto nascosti e persino quasi tutto ciò che pensiamo può essere detto senza girarci intorno. Ciò che differenzia questo strato dal nucleo è proprio l'interazione diretta con le persone che la innescano, l'amore e l'abnegazione nei confronti delle persone della nostra sfera intima ci portano a moderare le nostre azioni e i nostri pareri in funzione del sentimento che proviamo.
Non significa "mentire", significa avere particolare riguardo per il modo in cui verranno dette le cose e dover scegliere il momento giusto, questo perché le direttive principali del contesto intimo sono la sicurezza di non essere feriti e la premura di non voler ferire o di farlo solo per un bene maggiore.

Il secondo strato è quello confidenziale. Si innesca quando ci si trova all'interno di contesti abituali e si interagisce con persone che si possono reputare amiche. A differenza dei conoscenti, gli amici sono persone che scelgono vicendevolmente di frequentarsi e con cui spesso condividono interessi passioni, gusti e ambienti. Con queste persone si trascorre molto di quel tempo che viene definito "rilassante" e per quanto talvolta si possano verificare delle tensioni, il clima emotivo cerca sempre di riassestarsi infatti sulla tranquillità. La "maschera confidenziale" ha quindi lo scopo di presentare degli atteggiamenti stereotipati che permettano alle persone (e la loro personalità) di collocarsi in un posto preciso all'interno della struttura sociale della comitiva/contesto/gruppo. Se ci fate caso, quando si entra in confidenza con qualcuno si sarebbe capaci di scimmiottarlo bonariamente imitando alcune sue frasi tipiche, gesti comuni e intercalare ricorsivi. Questo strato stabilisce proprio l'identità sociale e permette di esprimere nel modo più comodo la proiezione di se stessi in relazione con le proiezioni altrui.

Il terzo strato è quello impersonale. Si innesca in contesti professionali, quando si interagisce con sconosciuti o quando siamo intimoriti o infastiditi da qualcosa. In queste circostanze si tende a non mostrare nulla di sé e si cerca di proiettare all'esterno un'immagine ben diversa da quella confidenziale. Il più delle volte si cerca di apparire autoritari, sicuri, gentili non servili e vissuti, in questo modo si induce agli sconosciuti un approccio "istintivamente" cauto e a sua volta impersonale.
La "maschera impersonale" ha una forte componente di linguaggio non verbale, quando ci si trova ad indossarla si fa molto caso alla propria postura, ai movimenti e alle espressioni facciali, i più estroversi tendono dissimulare o esagerare e i più introversi a limitare, ma in tutti i casi quando si è consci di essere sotto il giudizio altrui si cerca di nascondere il più possibile.

Il quarto ed ultimo strato in realtà non può essere realmente innescato, esso è sempre presente e più che una maschera indossabile è un modello su cui vengono allineate le altre maschere; mi piace definirlo strato proiettivo.
Chiunque ha modelli e idoli a cui invidia tratti caratteriali di cui non è in possesso, quegli stessi tratti che vengono più o meno simulati in ogni maschera su cui ci si sintonizza di volta in volta.
In questo modo, con il tempo e dopo vari tentativi, infatti, si riesce a fare propri alcuni comportamenti o atteggiamenti, il che spiega perché con il passare degli anni, quando si ripensa al passato, si può notare quanto si fosse diversi (in ogni strato). La "maschera proiettiva" è quindi quel contenitore dove vengono archiviate tutte le caratteristiche ideali che con il tempo vengono assimilate da altre persone, personaggi di fantasia visti in libri film o cartoni animati e che prima o poi si vorrebbero possedere.

In fine, parenti alla lontana della maschera proiettiva sono le maschere di immedesimazione, che possono essere di tipo emotivo, o ludico, ovvero la capacità di mettersi nei panni di qualcun altro all'interno di contesti emotivi o la capacità di impersonare personaggi più o meno diversi da se stessi in contesti ludici stabiliti come i videogiochi o fantasiosi come i giochi di ruolo.

A mio parere, stimolare le proprie maschere di immedesimazione aumenta la capacità di sviluppare spontaneamente più maschere intermedie tra gli strati e quindi di acquisire sempre più sicurezza negli innumerevoli contesti che si possono verificare.
In buona sostanza, credo che saper creare molteplici strati di maschere permetta un'ottima crescita interiore e una forte coscienza di sé e questo oltre a intensificare la fiducia in sé stessi garantisce una capacità sociale interpersonale talmente malleabile e adattabile da arrivare a minimizzare o persino evitare situazioni di stress o disagio.

mercoledì 19 febbraio 2014

Le basette alla Wolverine, l'impermeabile alla Matrix e l'arroganza.

Avete presente quelle persone che non riescono in alcun modo a distaccarsi dall'ovvietà?
Io le detesto.

Quelli che quando mi sentono parlare di wrestling mi chiedono "ma è tutto finto vero?".
Quelli che quando mi vedono con un trench di pelle esclamano "come Matrix!".
Quelli che quando mi vedono con i capelli corti mi chiedono "sei stato dal barbiere?".
Quelli che quando mi incontrano in spiaggia con tanto di costume da bagno addosso mi chiedono "cosa ci fai qui?".
Quelli che quando mi vedono portare un lungo paio di basettoni esclamano "come Wolverine!".
Quelli che quando mi incontrano quando sono in moto mi chiedono "è tua?".
Quelli che (in Sicilia) quando sentono il nome "Turi" mi chiedono "è il diminutivo di Salvatore vero?".

Sì, sì, sì e sempre maledettissimamente sì. Ebeti!

Queste menti limitate sono schiave dell'ovvio. Subiscono l'inconscia necessità di puntualizzare ogni argomento con questo tipo di interventi che possano fare da ancora nelle loro scontate sicurezze.
In buona sostanza possono vivere l'illusione di partecipare all'argomento ubicando se stessi in una posizione di volontaria estraneità pur fingendo interesse.
A cos'altro serve chiedere o esclamare qualcosa di scontato? Serve solo a "riempire" una discussione! A poter parlare di qualcosa o qualcuno per distogliere l'attenzione dalla propria posizione o quantomeno per prendere la rincorsa prima di poter azzardare un'opinione.

Credetemi, che essere "normali" dia quel comodo senso di protezione e sicurezza che permetta di non essere mai additati per primi o di non dover sostenere posizioni impopolari, lo comprendo. Per quanto io non ne condivida la scelta, riesco persino a carpirne il senso, se provo ad immedesimarmi in una mente meno brillante e meno sicura di sé.

Nel mio modo di vedere le cose, l'arguzia, l'estro, la libertà di espressione e il coraggio di proporre idee sono caratteristiche che rendono speciali le persone. Con questo non intendo dire che "essere speciale" debba essere un dovere o un'ossessione volontaria. Semplicemente trovo innegabile che chi per natura è estraneo alla normalità, si trovi in una condizione filosofica privilegiata.

Per quanto si possa girare su wikipedia, ad esempio, le persone su cui è stato fatto un articolo sono quelle che in qualche modo, nel bene o nel male hanno fatto la "differenza" in qualcosa.  Chi fa parte dei "normali" non può passare alla storia. Chi invece si è battuto per qualcosa di ingiustamente considerato normale è colui che "apre gli occhi" a tutti gli altri solo dopo che ha lottato e vinto "da solo".
L'emancipazione non è forse la liberazione da una condizione di inferiorità sovente imposta dalla "normalità" della società?

No, non intendo che pur di finire su un'enciclopedia, in televisione, sui giornali o sul web, qualsiasi stranezza sia lecita. Non intendo la notorietà come scopo ma come naturale conseguenza accidentale. Chi si da fuoco ai peli del culo per un attimo di notorietà non è speciale è idiota.
Idiota è chi basa la sua vita per essere diverso a prescindere, idiota è chi cerca nell'artefatta diversità l'unica propria caratteristica distintiva, idiota è chi non accetta le proprie VERE preferenze e non le sostiene orgogliosamente.

Attenzione il mio non è un attacco alla normalità, io non credo che essere normali sia un male. La normalità (o per meglio dire il conformismo) per definizione non può essere discriminante ed è nucleo naturale delle società. 
Nessuno può essere del tutto estraneo alla società, per quanto bizzarro possa essere in qualcosa, lo sarà sempre in confronto alla "normalità" della società in cui vive.

Ciò di cui vi sto parlando e che aborro con tutto me stesso sono le persone banali. Talmente qualunquiste, limitate e insicure delle proprie idee dozzinali da arrancare persino nel tentativo di conformarsi alla semplice condizione di "normalità". Riconoscerli è molto facile: quando possono non si esprimono e se sono portati a farlo sono spesso d'accordo con il più carismatico del gruppo. Insomma una sorta di insulto al concetto di "Sapiens Sapiens".

Sono cosciente di aver scritto questo articolo con arrogante presunzione, ma credetemi non mi sento il migliore di tutti. Conosco molta gente più intelligente di me, più acculturata, più ingegnosa e più libera dai preconcetti. Ma ne conosco (e ne vedo) fin troppa incapace di sostenere attivamente una conversazione con me.

Io non faccio altro che osservare e giudicare (impopolarmente) ciò che vedo.

P.S.
Questo post mi ha davvero combattuto, fino all'ultimo istante non ero sicuro di volerlo pubblicare a causa del contenuto estremamente antipatico.

lunedì 10 febbraio 2014

Il cieco, la sfera e l'ignoto

"Dio è per l'uomo esattamente ciò che sono i colori per un cieco dalla nascita: una cosa impossibile da immaginare."
- Donatien Alphonse François de Sade

Quando si parla di immaginazione, di fantasia o di sogni, si tende sempre a indicare qualcosa di astratto ed imprevedibile. Siamo portati a considerare l'immaginario come qualcosa libera dalle regole fisiche e dalla coerenza. Io, invece, credo che l'immaginario sia solo il modo di "mescolare e alterare ciò che conosciamo già".
Già migliaia di anni fa, culture antichissime narravano di figure mitologiche bizzarre: serpenti piumati volanti, creature metà umane e metà animalesche, cavalli a sei zampe e creature celesti con numerosi paia di ali.
Se notate, la base di qualsiasi "immagine" è sempre qualcosa di noto, che si tratti di un cavallo a cui "aggiungere zampe" o solo porzioni di cavallo da "montare" con altre porzioni di altre creature...
Questo perché per il cervello umano è impossibile immaginare qualcosa senza avere dei punti di riferimento che facciano da "ispirazione".

Il Marchese De Sade esprime il suo pensiero riguardo la comprensione di Dio paragonandolo al colore per un cieco dalla nascita, proprio perché quest'ultimo non può affatto comprendere il concetto basilare di qualcosa che per lui non esiste.

Nel 1884, ricalcando lo stesso concetto, Edwin Abbott Abbott scrisse un racconto "fantastico" intitolato Flatland. Il mondo in cui è ambientato il racconto è composto di due sole dimensioni e Abbot riesce a rendere il tutto abbastanza coerente e accattivante. Spiega che la pioggia arriva sempre da nord e che per questo motivo le case hanno l'entrata sempre al lato sud. Spiega che i maschi sono figure a più lati mentre le femmine sono linee e per tanto è possibile riconoscerle come tali solo da due angolazioni poiché appaiono come un semplice punto. Spiega la classificazione sociale in base al numero di lati di ogni individuo e l'intera cultura di questo ipotetico mondo piatto.

Il racconto inizialmente porta il lettore a "immedesimarsi" e gli impegna la mente nel trovare la coerenza nelle regole descritte. Il racconto prende un'interessante piega filosofica quando, messo a proprio agio il lettore, Flatland viene attraversata da una sfera.
La sfera proveniente da Spaceland cerca di spiegare l'esistenza della terza dimensione, ma gli abitanti di Flatland vedendo solo un cerchio (l'intersezione di una sfera su un piano) non la prendono per nulla sul serio e si sentono ovviamente presi in giro.
Il protagonista (un quadrato) decide invece ragionare "a mente aperta" e accetta l'eventualità della terza dimensione. Quando però inizia ad ipotizzare l'esistenza di mondi a quattro, cinque o persino a sei dimensioni, la sfera lo ferma e asserisce con assoluta sicurezza che le dimensioni sono solo tre e non possono assolutamente esisterne di più.
La sfera stessa finisce per cadere vittima dello stesso limite che inizialmente incontravano gli abitanti di Flatland ed è in questo modo che Abbott spiega al lettore come ogni certezza si basa su ciò che si conosce. Per l'essere umano è impossibile poter avere concezione di evenienze non percepibili.

Cosa significa?
Qualcosa che non può essere percepita è quindi inconcepibile a priori?
In realtà esiste la possibilità di accettare qualcosa "per fiducia" (o "fede", il concetto è identico).
Il colore rosso, per quelle persone che non lo hanno mai visto, è qualcosa di cui hanno sentito parlare molte volte e per quanto impossibile da capire, accettano la verità oggettiva della sua esistenza per "fede".

Ovviamente i casi di un mondo a due dimensioni o di un cieco dalla nascita sono degli esempi un po' estremi, ma le problematiche riguardanti la concezione dell'ignoto sono molto comuni e all'ordine del giorno.

Nell'ambito lavorativo, ad esempio, ogni professionista incontra spesso difficoltà a spiegare nello specifico i tecnicismi del proprio lavoro a chi non è del settore. Per me che sono un informatico, ad esempio, sarebbe impossibile spiegare a mia madre cosa sia un singleton, se quantomeno non le spiegassi prima e per gradi le basi necessarie per arrivare a quel concetto.

Persino nella vita di ogni giorno vi sono concetti basilari di cui non tutti dispongono. Può un rampollo di famiglia benestante conoscere la sofferenza di un orfano abbandonato? No. Non quella sofferenza.

Quindi chi non dispone delle "basi", non può giungere da solo alla comprensione di concetti a lui ignoti? Esattamente. A mio personale parere soggettivo, sarà sempre necessario un insegnante, o la volontaria esperienza personale, sia essa empirica o organizzata. 

La volontà di comprendere ciò che ci è ignoto non è un istinto universale. In linee di massima  l'ignoto tende a fare paura, a terrorizzare le menti meno brillanti e a porre quanto meno in condizione di prudenza i più curiosi. È l'estremizzazione di questo timore mutato in odio che spiega fenomeni quali il razzismo, il classismo, il maschilismo e tutte quelle discriminazioni che nascono proprio dall'ignoranza di quelle basi su cui si basa la condizione estranea.

Come ci si relaziona allora con "chi non conosce"?
Così come chiedo sempre spiegazioni per poter guardare gli argomenti da più prospettive, cerco sempre di dare le spiegazioni a chi vuol sentirle. Tuttavia ho imparato a non insistere con chi non ha l'intenzione di ascoltare e limitarmi a prendere atto del limite comunicativo che d'ora in avanti incontrerò con quelle persone.