venerdì 18 aprile 2014

Porsi agli altri

Da che ho memoria, ho sempre interagito con gli altri in modo abbastanza soddisfacente. Ovviamente negli anni avrò fatto le mie esperienze imparando da errori e successi, ma fin dall'inizio il mio intento era sempre quello di mettere a proprio agio i miei interlocutori.
Questo non significa che tentassi di compiacerli, persino quando l'interazione era di carattere ostile cercavo sempre di mantenere il mio lessico, le mie similitudini e i miei riferimenti all'interno di quei contesti sociali, culturali o emotivi a cui associavo l'interlocutore di turno.

Probabilmente questo è diretta conseguenza di quell'istintiva presunzione che fin da piccolo mi ha sempre portato a pensare di essere migliore. Non di tutti ma sicuramente di parecchi.
E se un tempo il mio cercare il modo giusto di spiegare era mosso dalla presuntuosa convinzione di non poter essere capito al volo, col tempo iniziai a farlo mosso dalla coscienza di non poter essere presuntuosamente capace di capire tutti.
Così, affinando questa tecnica e amplificando la capacità di ascoltare, col passare degli anni, creare paragoni e ragionamenti perfettamente calzanti ai miei interlocutori è diventato sempre più immediato e istintivo. 

E quindi?
Quindi compiacendomi parecchio di essere capace di intavolare conversazioni stimolanti con moltissime tipologie di persone, da quelle con cui condivido moltissime cose a quelle diametralmente opposte su più fronti, credo che questa cosa mi mi abbia arricchito motissimo e che mi arricchisca ogni giorno di più.

Ho imparato che ogni interlocutore ha un bagaglio culturale diverso, interessi diversi, profilo psicologico diverso e necessità emotive diverse. Che bisogna usare le parole giuste, tanto per compiacere quanto per confutare. Portare la conversazione in termini consoni per permettere all'interlocutore di interagire istintivamente e quindi di spiegarsi e percepire al meglio.
Inizialmente pensavo che questo ragionamento fosse banale e ovvio a tutti eppure ho la netta sensazione che moltissimi problemi interpersonali che da anni vedo scoppiare tra le persone siano  spesso causa di mancanze comunicative, talvolta accumulate, altre estemporanee.

Parlo del modo in cui vadano dette le cose.
Dosando e selezionando le parole è possibile non litigare mai con nessuno e in quei rarissimi casi in cui si innescano situazioni che mi indispongono, si può quasi sempre gestire la situazione senza dover giungere a quell'irreversibile condizione di conflitto che annebbiando la mente (di entrambi gli interlocutori) porta l'interlocuzione in termini più atti a ferire che ad esporre e ragionare.

A volte può bastare una sola parola sbagliata, una pausa troppo breve o persino troppo lunga tra una parola ed un altra per far sì che un discorso prenda pieghe del tutto inappropriate e insperate.
Se questo accade così spesso, è perché non si ha l'abitudine ad ascoltare e ad immedesimarsi.

Non credo che serva un'ottima memoria credetemi, non serve ricordare ogni dettaglio persona per persona, ma prestare semplicemente attenzione ad ognuno e assorbirne istintivamente la sua dimensione.

Sono convinto che il cervello umano sia capace di cose meravigliose e senza troppi sforzi, impegnadosi giusto ad ascoltare e a cercare di capire quale emozione supporta le parole delle persone ci si ritrova ad associarle a quello sfaccettatissimo bagaglio culturale che si portano appresso.
Comunicare può diventare semplicissimo e scambiare opinioni, incentivare o persino giudicare possono diventare circostanze serene e impagabilmente utili.

venerdì 11 aprile 2014

Catania, Palermo e la stupida rivalità tra due città



Da quando ho lasciato Palermo ho iniziato giorno dopo giorno a guardare la mia amata città con occhio sempre più critico.
Ciò che rende la mia critica sempre più aspra è la graduale disintossicazione da tutti quegli usi e costumi "errati" che con il tempo arrivano a risultarmi così estranei da farmi rabbrividire alla sola idea di non averci fatto caso per ben ventotto anni.

Ci sarebbero tantissime cose di cui lamentarmi e su cui rimproverare severamente tantissimi  conterronei, ma mi soffermerò su un solo concetto che in carattere generico non riguarda esclusivamente la mia città. La rivalità tra città.

Anche se in questo articolo mi limiterò ad analizzare il fenomeno relativo alla secolare faida Palermo-Catania, mi rivolgo per estensione a tutti gli abitanti di quelle città che si trovano in una situazione analoga.

Sarebbe meraviglioso potervi raccontare una storia epica ambientata nella Sicilia Saracena o Normanna in cui due leggendari nobiluomini delle rispettive città diedero inizio ad una tenzone d'onore che si ripercosse sulle intere popolazioni.
Purtroppo non posso.
Per quanto io abbia cercato di documentarmi esistono innumerevoli teorie e supposizioni a riguardo ma nessuna certezza e se non sappiamo perché nacque quest'odio reciproco, sappiamo che si tramanda da secoli.

Purtroppo, ad alimentare questa antichissima faida ha contribuito una delle più grandi piaghe culturali dell'intera penisola, il gioco del calcio.

E se il derby di Sicilia viene talvolta vissuto sportivamente in contesti socio-culturali di un certo livello, ai piani più bassi della società ciò che era antipatia indotta si tramuta in odio e violenza.

Quando dico "antipatia indotta" mi riferisco a tutte quelle circostanze in cui ogni palermitano (e suppongo ogni catanese) si trova in mezzo sin da bambino. "Chi non salta è catanese" è una nenia da stadio sulla base melodica di "Bella Ciao" capace di far vibrare l'intera struttura dello stadio e anche solo accennata nella versione meno musicale e più ritmata "Chi non salta catanese è... è...." porta i bambini palermitani a saltellare istintivamente.
I bambini non sanno perché, ma se tutti attorno a loro saltano, di certo non si porranno troppe domande e si conformeranno per necessità di accettazione.

Sui muri di palermo, i graffiti che esternano l'odio per la città etnea sono numerosissimi (non più numerosi dei SUCA ma comunque numerosissimi) e la cattiveria e la brutalità regnano sovrane: "Catania Merda", "Catania = AIDS" "Donne catanesi fate un favore al mondo: abortite", "Meglio handicapato che catanese" eccetera eccetera..

...

Se a prima vista può sembrare solamente agghiacciante, diventa disgustoso se si considera che coloro che arrivano a scrivere e pensare queste cose sono spesso persone che nutrono quest'odio così intensamente fin dall'infanzia da non aver mai rivolto parola ad un catanese all'infuori di un coro da stadio. Le stesse persone capaci di prendersi reciprocamente a sprangate dentro e fuori gli stadi.

Non voglio criticare i palermitani ed elogiare i catanesi, il discorso è ovviamente ambivalente, non credo proprio che l'etichetta "palermitano" o "catanese" possa identificare una tipologia di persona.
In ogni luogo del mondo ci sono persone fantastiche e persone di merda.

Sul valore folkloristico di questa faida, ironizzo molto pure io, ma ho sempre trattato la cosa come un gioco scherzoso spesso perpetrato in presenza di amici catanesi che ricambiano a loro volta, ci si fa tutti una risata e ci si abbraccia come fratelli. Il luogo in cui siamo nati torna ad essere un dettaglio come il colore dei capelli, la statura o la stazza, ovvero del tutto irrilevante ai fini della conoscenza o di un'amicizia.

martedì 8 aprile 2014

Captivus: colui che è fatto prigioniero



Fin da quando ero bambino, sono stato bombardato da favole, fumetti, cartoni animati, videogiochi e film in cui alcuni protagonisti, rappresentavano le icone eroiche per eccellenza.

Che l'ambientazione fosse fantastica, realistica, sportiva o persino post atomica questi personaggi riuscivano sempre a spuntarla, a resistere ai soprusi e in un modo o nell'altro a sconfiggere "i cattivi".

Il problema, per un bambino che come me era cresciuto con sani principi ma compagni di classe talvolta prepotenti, era che i buoni risultavano insopportabilmente noiosi. Tifare per i buoni era fin troppo facile perché tanto avrebbero vinto sempre e comunque.

Questi personaggi "buoni" tra l'altro, oltre a delle controparti cattive sempre più spregevoli, erano anche accompagnati da alleati meno "forti" di loro ma spesso tremendamente più fighi.

Se quindi fu molto facile fin da subito sognare di avere il fegato del cattivo, fu altrettanto facile sognare di essere un buono ultrafigo piuttosto che un bamboccione protagonista di turno.

Così già dalle prime classi delle elementari (pochissimi anni prima che io iniziassi a disinteressarmi del tutto al pallone) il mio idolo calcistico fu subito Mark Lenders.
Credetemi, questo scatenò un odio tremendo da parte dei compagnetti... mentre tutti tifavano per Oliver Hutton e qualche alternativo per Giulian Ross, io sognavo una maglia con le maniche arrotolate e una cattiveria senza pari.
Tutti odiavano Mark Lenders, lo odiavano perché era il più figo.

Così il connubio antagonismo+coattezza si instillava sempre più profondamente nel me bambino e così qualche tempo dopo, quando dovetti scegliere quale tifare tra un ebete col caschetto biondo e pantacollant viola e un alieno blu con la faccia da scheletro e un fighissimo bastone con tanto di teschio d'ariete in cima non mi ci volle poi molto. Col passare degli anni furono innumerevoli gli antagonisti e i comprimari fighissimi di cui fui fermo sostenitore:
Mister X, Mark Lenders, Boyakki, Tonzula e Miss Dronio, Dick Dastardly e Muttley, Skeletor, Hordak, Tri-Klops, Jitsu, Jigen, Fujiko, Ikki di Phoenix, Hyoga del Cigno, Tisifone, Il Gran Sacerdote Arles, Orion di Asgard, il Maestro Splinter, Casey Jones, Shredder, Tong Po, Chong Li, Chewbacca, Darth Vader, l'Imperatore Palpatine, Undertaker, Lgion of Doom, Jake the Snake Roberts, Kane, Mankind, Lobo, Lex Luthor, Joker, Bane, Alan Scott, Guy Gardner, Atrocitus, Larfleeze, Ghost Rider, Mystica, Magneto, Loki, Hulk, Venom e Carnage, Shin, Rei, Yuda e Souther di Nanto, Ain, Raoh e Toki di Hokuto, Alex DeLarge, Frank-n-Furter, Riff Raff e Magenta, Sonny Corleone, Virgil Sollozzo, Jena Plissken, Sardo Numspa, Benedict, Mickey e Mallory Knox, T1000, il Sergente Maggiore Hartman, Marcellus Wallace, Boris Balkan, il Colonnello Nathan R. Jessep, Bowser, Waluigi, Piccolo, Vegeta, Trunks, 18, Cell, Blanka, Zangief, Balrog, Vega, Sagat, M.Bison, Akuma, Grimilde, Jafar, Scar, Scorpion, Baraka, Smoke, Kano, Shang Tsung, Sindel, Jade, Shao Kan, Nina e Anna Williams, Heiachi e Kazuya Mishima, Darth Maul, il Conte Dooku, l'Agente Smith, Benjamin Linus, Smookey, Ozymandias, Gaara del Deserto, Shikamaru Nara, Kabuto, Tsunade, Orochimaru, Ditocorto, Roose Bolton, Tiwin Lannister, Barristan Selmy, Melisandre, Mance Ryder... e chissà quanti ne avrò dimenticati.


Quella che era una sorta di attrazione "a pelle" è pian piano diventata una scelta sempre più cosciente e voluta. Noto sempre di più che "i cattivi" sono più dettagliati nell'aspetto e più sfaccettati nel carattere, che spesso partono da una grande sofferenza e profonda frustrazione. Un dolore che i buoni non provano troppo spesso.I cattivi sono vittime che ad un certo punto dicono basta. E mentre la società ci impone di perdonare e passare oltre, loro avevano il fegato di farla pagare a tutti.
Sì, ok, lo so che non è condivisibile, ma il fascino che scaturisce da queste cose è per me irresistibile quantomeno nella fantasia.

Quindi tra maniche arrotolate, girocolli di piume, elmi irti di lame, pastorali coi teschi, guanti artigliati e mentalità brutali prive di scrupoli ma non per questo meno machiavelliche, crescendo, cercai come tutti di ispirarmi sempre di più ai miei idoli, e anche se tutto questo non ha fatto di me un super cattivo, mi ha reso semplicemente molto molto coatto.