lunedì 10 febbraio 2014

Il cieco, la sfera e l'ignoto

"Dio è per l'uomo esattamente ciò che sono i colori per un cieco dalla nascita: una cosa impossibile da immaginare."
- Donatien Alphonse François de Sade

Quando si parla di immaginazione, di fantasia o di sogni, si tende sempre a indicare qualcosa di astratto ed imprevedibile. Siamo portati a considerare l'immaginario come qualcosa libera dalle regole fisiche e dalla coerenza. Io, invece, credo che l'immaginario sia solo il modo di "mescolare e alterare ciò che conosciamo già".
Già migliaia di anni fa, culture antichissime narravano di figure mitologiche bizzarre: serpenti piumati volanti, creature metà umane e metà animalesche, cavalli a sei zampe e creature celesti con numerosi paia di ali.
Se notate, la base di qualsiasi "immagine" è sempre qualcosa di noto, che si tratti di un cavallo a cui "aggiungere zampe" o solo porzioni di cavallo da "montare" con altre porzioni di altre creature...
Questo perché per il cervello umano è impossibile immaginare qualcosa senza avere dei punti di riferimento che facciano da "ispirazione".

Il Marchese De Sade esprime il suo pensiero riguardo la comprensione di Dio paragonandolo al colore per un cieco dalla nascita, proprio perché quest'ultimo non può affatto comprendere il concetto basilare di qualcosa che per lui non esiste.

Nel 1884, ricalcando lo stesso concetto, Edwin Abbott Abbott scrisse un racconto "fantastico" intitolato Flatland. Il mondo in cui è ambientato il racconto è composto di due sole dimensioni e Abbot riesce a rendere il tutto abbastanza coerente e accattivante. Spiega che la pioggia arriva sempre da nord e che per questo motivo le case hanno l'entrata sempre al lato sud. Spiega che i maschi sono figure a più lati mentre le femmine sono linee e per tanto è possibile riconoscerle come tali solo da due angolazioni poiché appaiono come un semplice punto. Spiega la classificazione sociale in base al numero di lati di ogni individuo e l'intera cultura di questo ipotetico mondo piatto.

Il racconto inizialmente porta il lettore a "immedesimarsi" e gli impegna la mente nel trovare la coerenza nelle regole descritte. Il racconto prende un'interessante piega filosofica quando, messo a proprio agio il lettore, Flatland viene attraversata da una sfera.
La sfera proveniente da Spaceland cerca di spiegare l'esistenza della terza dimensione, ma gli abitanti di Flatland vedendo solo un cerchio (l'intersezione di una sfera su un piano) non la prendono per nulla sul serio e si sentono ovviamente presi in giro.
Il protagonista (un quadrato) decide invece ragionare "a mente aperta" e accetta l'eventualità della terza dimensione. Quando però inizia ad ipotizzare l'esistenza di mondi a quattro, cinque o persino a sei dimensioni, la sfera lo ferma e asserisce con assoluta sicurezza che le dimensioni sono solo tre e non possono assolutamente esisterne di più.
La sfera stessa finisce per cadere vittima dello stesso limite che inizialmente incontravano gli abitanti di Flatland ed è in questo modo che Abbott spiega al lettore come ogni certezza si basa su ciò che si conosce. Per l'essere umano è impossibile poter avere concezione di evenienze non percepibili.

Cosa significa?
Qualcosa che non può essere percepita è quindi inconcepibile a priori?
In realtà esiste la possibilità di accettare qualcosa "per fiducia" (o "fede", il concetto è identico).
Il colore rosso, per quelle persone che non lo hanno mai visto, è qualcosa di cui hanno sentito parlare molte volte e per quanto impossibile da capire, accettano la verità oggettiva della sua esistenza per "fede".

Ovviamente i casi di un mondo a due dimensioni o di un cieco dalla nascita sono degli esempi un po' estremi, ma le problematiche riguardanti la concezione dell'ignoto sono molto comuni e all'ordine del giorno.

Nell'ambito lavorativo, ad esempio, ogni professionista incontra spesso difficoltà a spiegare nello specifico i tecnicismi del proprio lavoro a chi non è del settore. Per me che sono un informatico, ad esempio, sarebbe impossibile spiegare a mia madre cosa sia un singleton, se quantomeno non le spiegassi prima e per gradi le basi necessarie per arrivare a quel concetto.

Persino nella vita di ogni giorno vi sono concetti basilari di cui non tutti dispongono. Può un rampollo di famiglia benestante conoscere la sofferenza di un orfano abbandonato? No. Non quella sofferenza.

Quindi chi non dispone delle "basi", non può giungere da solo alla comprensione di concetti a lui ignoti? Esattamente. A mio personale parere soggettivo, sarà sempre necessario un insegnante, o la volontaria esperienza personale, sia essa empirica o organizzata. 

La volontà di comprendere ciò che ci è ignoto non è un istinto universale. In linee di massima  l'ignoto tende a fare paura, a terrorizzare le menti meno brillanti e a porre quanto meno in condizione di prudenza i più curiosi. È l'estremizzazione di questo timore mutato in odio che spiega fenomeni quali il razzismo, il classismo, il maschilismo e tutte quelle discriminazioni che nascono proprio dall'ignoranza di quelle basi su cui si basa la condizione estranea.

Come ci si relaziona allora con "chi non conosce"?
Così come chiedo sempre spiegazioni per poter guardare gli argomenti da più prospettive, cerco sempre di dare le spiegazioni a chi vuol sentirle. Tuttavia ho imparato a non insistere con chi non ha l'intenzione di ascoltare e limitarmi a prendere atto del limite comunicativo che d'ora in avanti incontrerò con quelle persone.

4 commenti:

  1. Argomento interessante questo, un pizzico in più degli altri! Forse perché lo lego di più a fatti personali che ho vissuto! Mi riferisco, in particolar modo, all'ultima frase, dove spieghi un atteggiamento che ho fatto mio già da molti anni ( per una questione di salute mentale, ma anche fisica!). Per il resto, che dire: comprendere l' ignoto non mi fa paura... Se questo ignoto esiste e qualcuno lo ha compreso, sono disposta a sentire cosa ha da dire, se è convincente!! Basta che non mi parli di fede e di chiesa! È un mio limite....
    Stefy

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    1. Sì Stefy, fin troppa gente non ha la minima intenzione di conoscere.
      La sola idea che il proprio punto di vista possa essere smentito terrorizza gli insicuri. Non solo temono di perdere le proprie certezze, ma temono di cambiare la propria “routine” (intendo anche gli schemi mentali non solo le abitudini).
      La “fede” di cui parlo io comunque non è esclusivamente riferita alla religione. Per fede intendo ampliamente qualcosa che viene accettata senza in supporto della conoscenza diretta.

      Del resto le parole fede e fiducia hanno la stessa radice etimologica.

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    2. Hai creato una pietanza con 5 ingredienti diversi:
      -immaginario
      -ignoto
      -percezione della realtà
      -fede
      -divulgazione (attiva e passiva)

      Complimenti, è un piatto molto buono.
      Anche se questi ingredienti provengo dalla stessa dispensa, li trovi generalmente su ripiani diversi.

      Il Rastone

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    3. Sono contento che il piatto ti sia piaciuto, non faccio altro che esporre i miei ragionamenti.

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